IL RACCONTO/”Me ne vado da Sirolo. Questa mentalità feudale non fa per me”. Antonio Scardino medico di base vola oltr’Alpe.
SIROLO – Pubblichiamo il racconto di Antonio Scardino, medico di base arrivato nella scorsa primavera e già in partenza per altri lidi. Non si è trovato bene qui, una mentalità di parte della comunità sirolese lo ha convinto che l’esercizio della professione medica a Sirolo assume contorni troppo “personalistici” e richiama comportamenti “arroganti”.
“Siamo a cena con il Signor Sindaco de La Ville du Bois, alle porte di Parigi, è lì che andrò a fare il medico di famiglia: c’è anche la moglie, l’assessore all’urbanistica e suo marito. Dall’aperitivo in poi si discute di noi, ciò che amiamo, cosa sogniamo, cosa siamo; ridiamo, parliamo. Il Sindaco ama cacciare, la moglie parla dell’omeopatia e della sua ginnastica in piscina, l’assessore va in barca, è bretone, di San Malò, il marito è di origini
ungheresi, dipinge ed espone le sue opere, che definisce
poca cosa, ma di grande valore per sé. Mi chiedono cosa sogno, dei miei figli, del perché voglio tornare a lavorare e vivere in Francia. Tra il primo e il secondo si scende nel concreto: avremo assegnata una casa popolare di quattro stanze o una casa di accoglienza, di quelle su due piani, il tetto a spiovente e il giardino attorno; qualcosa di adatto a una famiglia con tre figli, dice il Signor Sindaco, giusto il tempo di ambientarci, di lasciare che il lavoro inizi e parta bene. Mi ingaggio ad occuparlo per tre mesi, il tempo di affittare una casa nostra. L’ambulatorio costerà trecento euro al mese, luce, acqua e internet in fibra ottica gentilmente offerte dalla comunità, che ringrazia lo sforzo di dare aiuto medico. Gli appuntamenti saranno presi dalle segretarie o dai medici della guardia, che invieranno tramite applicazione smartphone la lista dei rendez vous in ambulatorio: io
non avrò più un telefono pubblico, non risponderò direttamente poiché tutto sarà filtrato da colleghi che non amano visitare e danno consigli, risolvono per telefono o prendono appuntamento per noi che siamo in ambulatorio. Gli altri tre medici di famiglia della Ville du Bois mi aspettano al centro medico, la mattina dopo: un piccolo comitato di benvenuto: cordiali, sorridenti, propositivi, mi chiamano cher confrère; esiste la parola confratello in italiano? Non l’avevo mai sentita ed è
bellissima. Mi chiedono di scegliere uno dei due ambulatori che sono rimasti vuoti, scelgo quello con la carta da parati verde acqua e i quadri, le doppie finestre che danno sul parco, l’armadio a muro, tutto in ordine e pronto per iniziare il giorno dopo, se necessario. Uno dei colleghi, il più
anziano, quello che andrà in pensione e dovrò sostituire resta con me e mi spiega tutto: i pazienti prendono appuntamento per telefono, pagano in contanti la visita, se sono esenti devo infilare nel POS la loro Carte Vitale e inviare la visita alla Sécurité Sociale, che mi rimborserà a fine mese.
Devo solo visitare, prescrivere farmaci, visite specialistiche e analisi del sangue su un solo ricettario bianco a me intestato dalla Sécurité Sociale: finito il mercanteggiare le prestazioni mediche, le esenzioni, le urgenze vere o presunte, niente più incubi da certificati assicurativi e privati, patenti, palestre, INPS, INAIL, EMPAM… Finita la contrattazione da mercatino sahariano sulle risonanze magnetiche consigliate dagli amici infermieri e pretese a brutto muso in esenzione totale, dal sistema sanitario nazionale, talvolta gridando tali pretese per telefono, mentre stai visitando. Finite le aggressioni. Finito il ricatto. I giorni di malattia? Chiedo ingenuamente. Il telefono non esiste, mi risponde il Dr. Ferdinand Boissel, il tuo telefono personale non lo hanno proprio: i francesi si alzano dal letto e vengono in ambulatorio, tu gli fai una carta con i giorni di malattia e finito lì. Se sono immobili a letto vai tu da loro, ma hanno gran interesse che l’infermità sia reale, per se stessi e per il loro rapporto con te. Di imbroglioni non ce n’è, un po’ per cultura e un po’ perché altrimenti durerebbero poco. Finite le telefonate al cellulare personale delle emergenze a tutte le ore, per sapere se il pomeriggio apri l’ambulatorio e a che ora; finite le chiamate a tutte le ore del Sabato e della Domenica, di giorno e di notte, per un capogiro o per una febbricola. Per quello c’è il medico di guardia telefonica, che se ritiene ti manda uno in carne e ossa in quindici minuti, ma lo paghi 50 euro. Finite le chiamate al citofono di casa, di gente che nemmeno è iscritta con te. Credo che andrò a stare meglio, ma potrò dirlo solo dopo aver provato per anni, ne riparleremo. Invece, che in Italia sono stato male lo posso dire per certo. Da quando sono tornato, nel 2002, sono stato coinvolto in due procedimenti penali, sempre assolto, per aver detto la mia opinione, o per aver scritto articoli di narrativa e di libera ed educata critica sociale, come questo. Un terzo procedimento penale l’ho subito perché accusato dai colleghi di Urbino di aver molestato sessualmente una donna, poi risultata non esistente nella realtà, ma dopo sei anni di procedimento giudiziario. A Sirolo il sindaco mi ha fatto attendere in sala d’aspetto per due ore, poi mi ha detto che di ambulatori comunali non ce n’era e mi ha augurato buona fortuna per l’alloggio. I colleghi mi hanno detto che potevo aprire un ambulatorio al piano di sopra
dell’ospedaletto San Michele, ma che pagavano tanto, quanto un ambulatorio privato e non mi conveniva. Le firme per l’incarico a Sirolo sono arrivate dopo cinque mesi e la firma per l’autorizzazione ad aprire un ambulatorio nell’ospedaletto di Sirolo non venne mai firmata. Apro un
ambulatorio privatamente: seicento euro al mese più le spese, ma va bene così. La dirigenza amministrativa non l’ho mai incontrata di persona: se chiedevo appuntamento mi si diceva che non avevano tempo per me, ma alle mail non rispondono, allora mando raccomandate con ricevuta di
ritorno, come negli anni settanta, compresa l’ultima, quella delle dimissioni. Sono persone senza volto, per me. Quando inizio a lavorare, trovo che la maggior parte delle persone sono invisibili per quanto delicate, educate, cordiali, sorridenti; ma un cospicuo numero di pazienti, in percentuale troppo elevata per i miei criteri – forse troppo esigenti, – grida, pretende, imbroglia, fa richieste sconclusionate, parla in modo arrogante, minaccia, deride, presentando tutta una serie di
problematiche che nulla hanno a che vedere con la medicina o con il rapporto medico-paziente, ma solo e unicamente con un modo mafioso, connivente e truffaldino di interpretare l’esistenza.
Alcune persone cercano di estorcermi privilegi e certificati per i loro scopi meschini: figli che vogliono vendere le case di genitori spediti in casa di cura e spacciati per dementi, malattie inesistenti, esenzioni inventate, il tutto spesso richiesto al telefono, preteso con la forza, con minacce. Una paziente mi fa recapitare una lettera minatoria. Iniziano a circolare voci sul mio conto e su quello della mia famiglia. Forse si sta organizzando una raccolta di firme per mandarmi via, mi si dice. Un ex sindaco del paese manda le guardie comunali a prendere le ricette e minaccia di intralciare la mia professione se non vado in farmacia io personalmente a portare le
sue prescrizioni. L’ospedale di Osimo, che sembra più un mercato di un paese del terzo mondo che un luogo di cura, difende per iscritto il personale che si rifiuta di lasciarmi consultare le cartelle cliniche dei miei pazienti, pratica questa ovunque (nei paesi civili) riconosciuta necessaria a
scambiare informazioni fra medici e rassicurare il paziente stesso. Questa mentalità mafiosa io non la tollero, ma non tanto per me che, da italiano D.O.C. quale sono, conosco da quando sono nato; non la tollero per i miei figli, che meritano meglio e di più. Vado via e sarò felice di tornare in Italia in vacanza, in questi luoghi splendidi, dove il cibo è buonissimo e il vino un nettare e il sole caldo: ma io non sono un ramarro e non do molta importanza al versante gastrointestinale dell’esistenza.
Io ho bisogno di una società attorno, una società vera”.
Antonio Scardino
Medico di base a Sirolo